166. L’officina del gas

veduta dei gasometri dal traghetto

Nel cuore del sestiere di Castello, a pochi passi dalla monumentale Chiesa di San Francesco della Vigna, si stagliano due grandi strutture cilindriche in metallo, oggi segnate dal tempo e dalla ruggine. Sono le due gabbie superstiti dei sei gasometri che, nel corso degli anni, furono edificati in quest’area per potenziare lo stoccaggio del “gas di città”. Costruiti nel 1882 (quello verso il campo) e nel 1926 (quello verso la laguna), rappresentano un raro e affascinante esempio di archeologia industriale incastonato nel delicato tessuto urbano lagunare.
La loro installazione non fu priva di impatto e comportò il sacrificio di una vasta porzione del campo antistante la chiesa, portando alla scomparsa dell’antico pozzo pubblico, che rimase inglobato nell’area industriale e nascosto alla vista da un alto muro di cinta.
Il gas veniva prodotto attraverso la distillazione del carbone fossile in forni ermetici. Una volta purificato, era immesso dal basso nelle grandi campane metalliche rovesciate, immerse in vasche d’acqua che fungevano da sigillo idraulico. Man mano che il gas affluiva, le campane si sollevavano lungo i binari esterni, espandendosi per accogliere il volume crescente. Durante il consumo cittadino, le campane scendevano lentamente: il loro stesso peso esercitava la pressione necessaria a spingere il gas attraverso i tubi fino ai lampioni e alle abitazioni. L’altezza raggiunta dalle campane era, di fatto, un indicatore visivo immediato della riserva energetica della città.
La rete veneziana, avviata nel 1839 tra le prime in Europa, nacque per alimentare in modo più moderno le circa 2.300 lampade dell’illuminazione pubblica, fino ad allora alimentate a olio grazie al faticoso lavoro di circa 150 “impizadori”, che ne curavano accensione e manutenzione. Col tempo, il gas entrò anche nelle cucine e negli impianti di riscaldamento, rendendo indispensabili i gasometri di San Francesco della Vigna, assieme a quelli del nuovo insediamento degli anni Trenta di Santa Marta nel sestiere di Dorsoduro, fino al 1972, anno in cui furono definitivamente dismessi a favore del metano della rete nazionale.
Per oltre un secolo si credette che la vera del pozzo del campo fosse andata perduta. Invece, nel 2020, durante una bonifica dell’ex area industriale, il manufatto è riemerso da sotto le macerie. Questa preziosa testimonianza cinquecentesca, la cui memoria era ormai affidata solo ad alcuni dipinti e stampe d’epoca, è oggi in attesa di rivalorizzazione.
Così come l’intera area attende un futuro, nonostante i numerosi dibattiti sulla sua riqualificazione. È possibile seguirne gli sviluppi sulla pagina Facebook del Comitato Area Ex Gasometri, un gruppo di cittadini impegnato nel promuovere la conversione di questi spazi per fini comunitari.
Intanto i due ex gasometri sopravvivono, imponenti e impotenti, reperti di un’epoca in cui Venezia non produceva solo bellezza, ma anche energia.

Evoluzione dell’illuminazione pubblica veneziana
1132 – Le prime fiammelle votive
Per combattere l’oscurità e la criminalità, il doge Domenico Michiel ordina l’accensione di lumi sotto i capitelli sacri nelle zone più critiche della città. È il primo embrione di sicurezza stradale notturna.
1450 – L’obbligo della luce e il codegà
Il Consiglio dei Dieci impone ai cittadini l’obbligo di circolare con una lanterna dopo il terzo rintocco della campana di San Marco. Si diffonde così la figura del codegà, il servitore che accompagna i nobili illuminando il cammino tra le calli buie.
1732 – La nascita del servizio pubblico
Venezia diventa una delle prime città al mondo a dotarsi di una rete pubblica a olio. Vengono installati inizialmente circa 800 fanali che diventeranno oltre 2.300 nell’Ottocento, gestiti da circa 150 impizadori, incaricati dell’accensione e della manutenzione delle lanterne.
1839 – L’era del gas
Inizia la transizione verso il “gas di città”. Viene costruita l’officina a Castello e installati i primi lampioni moderni, un processo che si completerà nel 1864 con la copertura totale della città.
1889 – La rivoluzione elettrica
I primi lampioni alimentati dall’elettricità compaiono nel centro storico, in particolare nell’area di San Marco. La convivenza con il gas dura ancora alcuni decenni, fino al 1922, quando l’elettricità sostituisce definitivamente ogni altra forma di illuminazione pubblica.

l’area attuale dei gasometri di San Francesco della Vigna, in cui risulta evidente la riduzione del campo antistante la chiesa
l’area negli anni ’30, ripresa dal tetto della chiesa: il gasometro sul lato laguna mostra lo scavo già avviato, e dietro a quello principale si intravede un secondo gasometro più piccolo.
schema di un impianto tratto dal libro “Letture popolari sulla illuminazione a gas” del 1867
il dipinto del Canaletto “Il Campo e la Chiesa di San Francesco della Vigna” del 1735-40
il pozzo riemerso nel 2020, miracolosamente intatto
l’area attuale di Santa Marta a Dorsoduro, con ciò che resta dei gasometri

Sestiere di Castello
adiacente al Campo di San Francesco della Vigna, ma maggiormente visibile dal traghetto
Geolocalizzazione: 45.438919, 12.347073

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