154. La calle in cotto

l’ingresso a Calle delle Mende dall’omonimo Sotoportego

L’architettura urbana si trasforma nel corso dei secoli, e non riguarda solo gli edifici: anche le superfici su cui camminiamo raccontano storie. Oggi viviamo in un’epoca in cui si cerca di preservare e valorizzare il passato, ma la pavimentazione delle città raramente conserva tracce significative della sua storia. È infatti tra le prime a dover adattarsi ai mezzi che vi transitano sopra e ai servizi che scorrono sotto.
Venezia rappresenta un’eccezione. Gran parte delle sue strade è ancora ricoperta da circa 7 milioni di masegni (blocchi di trachite euganea introdotti nel 1676) che ne costituiscono la pavimentazione prevalente. Il termine “quasi” è d’obbligo, per due motivi:
1) Il commercio clandestino dei masegni, venduti sottobanco a facoltosi acquirenti desiderosi di possedere un frammento della Serenissima. Un fenomeno noto da tempo, che si spera oggi sia finalmente sotto controllo.
2) La presenza residua dei mattoni di cotto, che testimoniano la pavimentazione precedente ai masegni e successiva alla primitiva terra battuta.
Questi mattoni si possono ancora osservare in alcuni campi davanti alle chiese, nei chiostri dei conventi e in corti isolate, mentre sono quasi del tutto scomparsi dalle calli e dai ponti.
Per rivivere l’esperienza di camminare in una calle veneziana tra la fine del Trecento e il Settecento, periodo in cui il cotto era il materiale dominante, bisogna recarsi in Calle delle Mende. Qui la sensazione è davvero unica: la calle è lunga, diritta e completamente pavimentata con mattoni disposti a spina di pesce. I mattoni visibili oggi sono poco consumati, soprattutto se confrontati con quelli delle murature circostanti, segno evidente di un restauro relativamente recente.
Del resto, i mattoni di cotto presentavano un limite: si sgretolavano facilmente sotto l’effetto dell’usura, dell’acqua salata e degli agenti atmosferici. È proprio questa fragilità che ha portato alla loro progressiva sostituzione con i masegni.
Questi ultimi furono inizialmente posati nelle calli più importanti, le cosiddette salizade, e successivamente estesi anche alle altre. Le calli secondarie, abitate dai ceti più umili, rimasero invece in cotto. A tal proposito, Giuseppe Tassini scrive nel 1872, a proposito del nome “Calle delle Mende”:
“Il rimendare, ossia cucire la rottura dei panni, può aver originato cotal denominazione. Son fatture pazienti da donne, e donnucce in queste grette calleje ce ne sono a torme.”

[foto ZUK]

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Sestiere Dorsoduro a dx di 522
Calle delle Mende dal Sotoportego delle Mende in Fondamenta Zorzi
Geolocalizzazione: 45.429994, 12.330715

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